Grande attesa per il dato di inflazione CPI Usa a settembre.
Qualunque sia dato di CPI Usa la Federal Reserve aumentera’ ancora i tassi.
Anche dalla Banca Centrale Europea sono attesi 2 rialzi entro fine anno.
Ancora tensioni su rendimenti e spread sul mercato obbligazinario europeo.

I mercati azionari globali restano indeboliti dai timori di un’imminente recessione e dall’attesa per il dato sull'inflazione al consumo (CPI) di settembre negli Usa che potrebbe rappresentare un valido motivo per un nuovo robusto (si stima +0,75%) rialzo dei tassi ufficiali da parte della Banca Centrale Americana (Federal Reserve - FED).

Quella di ieri, 12 ottobre, e’ stata una seduta nervosa ed alla fine negativa, per le maggiori Borse europee: Milano ha perso -1,3%, risultando la peggiore, Francoforte -0,4%, Parigi -0,3% e Londra -0,9%. Prive di una vera direzione le chiusure di Wall Street: l'indice S&P 500 ha perso -0,3%, in calo per la sesta seduta consecutiva e ai minimi dal novembre 2020, il Dow Jones e il Nasdaq -0,10%.

Dunque ci siamo, ed oggi, 13 ottobre, sara’ pubblicato l'attesissimo dato sull’inflazione Usa. Sebbene l’andamento dei prezzi al consumo di un solo mese concorra a definire la “stance” (attitudine) di politica monetaria della FED, e’ improbabile che un singolo dato, ancorche’ in calo, possa convincere la banca centrale Usa ad ammorbidire il suo attuale atteggiamento “hawkish” (restrittivo).

Una stretta monetaria, come noto, e’ attesa anche in Europa: ieri, 12 ottobre, il Governatore della Banca d'Olanda, Klaas Knot, ha affermato che la ECB (Banca Centrale Europea) va verso due sostanziali (+0,5% stimati) rialzi dei tassi, nelle prossime 2 riunioni prima della fine dell’anno, per raggiungere il livello “neutrale”.

Peccato che cio’ avvenga in pieno rallentamento economico, come ricordato dal Fondo Monetario Internazionale martedi’ scorso, ed in concomitanza con segnali di crescente tensione sui mercati finanziari, come testimoniato dal caso “inglese” e dall’evidente espansione degli spread sul mercato del “debito”.

Ieri, negli Usa, hanno deluso, poiche’ sopra le attese, i dati sui prezzi alla produzione (PPI) che a settembre sono aumentati +0,4% contro attese di +0,2%. Poco importa che, secondo l'ultimo sondaggio della FED regionale di New York, le aspettative di inflazione ad un anno, a settembre, siano calate da +5,74% a +5,4%, al livello più basso da un anno, e ben sotto il +6,8% a giugno.

Tra l’altro, dai verbali pubblicati ieri della riunione del 20 e 21 settembre (quella del rialzo di 75 punti base), si evince che la banca centrale americana è preoccupata da un’inflazione a un livello «alto e inaccettabile», e ribadisce il suo impegno a contrastare la corsa dei prezzi attraverso congrui rialzi dei tassi di interesse.

Crisi del debito nel Regno Unito: sia martedì che ieri, la Banca Centrale Inglese (BoE) ha ribadito che venerdi’ 14 terminera’ gli acquisti di Gilts sul mercato, frustrando le speranze di molti investitori locali, soprattutto fondi pensione, di una loro estensione, che eviterebbe sgradevoli “vendite forzate” a prezzi depressi.

Sul nuovo Governo Truss si abbattono anche nuove cattive notizie sul fronte macro, visto l’inaspettato calo del GDP (prodotto interno lordo) in agosto, -0,3%, e della produzione industriale, -1,8% mese su mese, che avvalorano un contesto recessivo.

L’agenzia di rating globale S&P vede "il rischio significativo che la guerra russo-ucraina si trascini esacerbando la crisi energetica in Europa, mentre i tassi d'interesse nelle economie avanzate potrebbero dover salire più velocemente". Cio’ causerebbe una recessione più profonda, nel qual caso Italia e Germania sarebbero relativamente piu’ impattatate: GDP 2023 previsyo rispettivamente a -1,5% e -3,4%.

Sul mercato obbligazionario ieri, alta tensione per rendimenti e spread: il differenziale di rendimento tra il BTp decennale italiano e l’omologo Bund tedesco è salito a 245 bps dai 239 precedenti, in concomitanza al forte rialzo del rendimento del BTP 10 anni, salito sino a +4,79%, +0,10% rispetto al dato della vigilia.

Anche il mercato dei cambi resta molto nervoso e contraddistinto dalla forza del Dollaro USA: ieri l'Euro è sceso nuovamente sotto 0,97 Dollari, ed il cross Dollaro/Yen ha raggiunto 146,9, record da 25 anni. La Sterlina britannica invece, reduce dal recente crollo, ha invece proseguito il suo recupero, riportandosi ben sopra “quota 1,10” contro US$, +0,8% in una seduta.

Archiviato il rimbalzo innescato dal taglio dell’Opec+ (cartello dei maggiori esportatori) di 2 mioni di barili/giorno, il prezzo del petrolio e’ sceso ieri -2%, col WTI (greggio di riferimento Usa) tornato a 87,5 Dollari/barile: oggi, 13 ottobre, e’ quasi invariato a 87,3. Il prezzo del gas metano europeo, sulla piattaforma TTF di Amsterdam e’ in leggero rialzo a 158 Euro/ megawattora, +0,9%. (ore 12.30 CET)

Le vendite hanno prevalso stamani, 13 ottobre, sulle Borse asiatiche: il Nikkei giapponese ha perso -0,6, l’Hang-Seng di Hong Kong -1,9%, il Kospi coreano -1,8%, il Nifty indiano -0,6, il Taiex taiwanese -2,1%.

A fine mattina, le Borse europee sono marginalmente positive, in media +0,4%, similmente alle indicazione provenienti dai futures su Wall Street. Pesa l’attesa sul dato di inflazione Usa a settembre, che sara’ diffuso alle 14.30 CET.

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